Cohousing per Roma… Ma che vordì?

Uno studio condotto nell’Area Metropolitana della capitale presentato in un incontro in Campidoglio il 15 di dicembre

Il cohousing è, tradotto in italiano, è una particolare forma di vicinato dove coppie e singoli, ognuno nel proprio appartamento, decidono di condividere alcuni spazi e servizi comuni come il mangiare, la gestione dei bambini, la cura del verde, ecc. Qualcosa di più rispetto al tradizionale condominio, dove ognuno è trincerato all’interno del suo appartamento, ma qualcosa di meno di una comune, dove a legare tutti i membri è anche la condivisione dell’economia. Per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento consigliamo la lettura della sintesi di un libro che descrive il fenomeno già in atto in molte realtà europee.

Il cohousing come nuova forma di socializzazione degli spazi abitativi, strumento di recupero e valorizzazione del patrimonio immobiliare del Comune di Roma e metodologia da applicare alla progettazione del Residenziale Pubblico. Questi i temi affrontati nell’incontro che si è svolto il 15 di dicembre 2009  mattina in Campidoglio, organizzato dall’associazione M.I.D.A. (Moduli Interattivi di Didattica Ambientale) che ha presentato lo Studio sul Cohousing nell’Area Metropolitana di Roma. La sintesi dell’incontro che qui di seguito pubblichiamo è a cura dell’Associazione M.I.D.A. (Moduli Interattivi di Didattica Ambientale), tel. 06.82002536, 338.6151108

Ne hanno palato i professionisti dell’associazione M.I.D.A., esperti in architettura bioclimicatica, progettazione partecipata e impiantistica da energia rinnovabile ed esponenti istituzionali.

Per il presidente, Mauro Furlotti: “Lo studio parte dall’analisi dell’area metropolitana di Roma dal punto di vista socio-culturale, ambientale ed urbanistico. L’emergenza abitativa, l’invivibilità della città, l’isolamento delle persone anziane e la disgregazione della famiglia e l’allargamento della fascia di povertà sono problemi esistenti a cui il cohousing può dare una risposta”.

Per l’architetto Anna Maria Grifa, coordinatrice del progetto. “Partendo dagli strumenti normativi, finanziari e amministrativi per realizzare in concreto una realtà di cohousing, abbiamo analizzato e individuato le criticità del territorio dell’area metropolitana di Roma a livello sociale, ambientale e dell’emergenza abitativa. Il cohousing può essere una risposta efficace e concreta per risolvere queste criticità”.

L’architetto Nicoletta Salvi, responsabile della redazione dello studio, ha illustrato il progetto di cohousing nel territorio del terzo Municipio. “Abbiamo realizzato un’analisi approfondita del quartiere di San Lorenzo, un’area già inserita nel “Progetto Urbano San Lorenzo’ che il Comune di Roma sta proponendo come intervento di riassetto per la zona est della città. Un progetto urbano nell’ambito del quale è prevista la partecipazione propositiva della cittadinanza. Presenteremo al Comune di Roma entro il 10 gennaio il nostro studio di cohousing che potrebbe risolvere molti dei problemi di compattazione del tessuto urbano e sociale di cui il quartiere ha bisogno”.

Per il Comune di Roma sono intervenuti

Il Presidente del Consiglio Comunale Marco Pomarici che ha salutato favorevolmente il progetto. “Un’iniziativa importante per la città e per tutta la cittadinanza che la Presidenza del Consiglio Comunale condivide e sostiene”.

Per il consigliere comunale Giulio Pelonzi, vicepresidente della Commissione Cultura e Sport: “Il cohousign come nuova forma di abitare è una soluzione che nelle grandi metropoli unisce l’esigenza di housing sociale e welfare partecipato. Una forma utile per recuperare una dimensione di comunità, ottimizzare risorse e tempi delle singole persone e dei nuclei familiari, e per risolvere situazioni di marginalità e insicurezza. Il cohousing, infatti, permette di creare quelle forme di comunità che nei quartieri si stanno perdendo. Può inoltre fornire una risposta concreta alle situazioni di disagio economico e sociale perché permette di condividere risorse finanziarie e di favorire l’integrazione. Un soluzione abitativa che può trovare applicazione anche per tutte quelle categorie sociali (single e divorziati) che hanno problemi di gestione del tempo. Lo studio presentato oggi, pone l’attenzione su un’idea di cohousing capace di creare sinergie con il quartiere. Forme d’assistenza sociale realizzate all’interno della comunità, possono, infatti, essere messe a disposizione di tutti. Come gruppo consiliare del Pd già nel Dpf dello scorso anno aveva inserito un apposito capitolo sul cohousing. Oggi, grazie alla collaborazione della Presidenza del Consiglio Comunale, possiamo arrivare alla condivisione di questo obiettivo. Personalmente spero che il cohousing sia inserito nel Dpf che l’Amministrazione discuterà entro il mese di gennaio”.

La Sintesi dello studio

Il primo capitolo descrive cos’è il cohousing, la sua storia, come funziona.
La moderna teoria del cohousing è nata in Danimarca negli anni ’60 da un gruppo di famiglie di radici contadine insoddisfatte delle abitazioni e delle comunità nelle quali vivevano e che sentivano lontane dai propri bisogni quotidiani. Una figura chiave per la nascita dell’idea di cohousing fu Jan Gødmand Høyer, che trasse ispirazione dai suoi studi di architettura ad Harvard e dalla frequentazione in quell’epoca di comunità sperimentali negli Stati Uniti.

Lo studio si sofferma anche ad analizzare cosa non è il cohousing, perché spesso si tende a confonderlo con altre forme comunitarie o abitative, come le comuni degli anni ‘60, le occupazioni, le città utopiche, le convivenze, le comunità religiose.

Il secondo capitolo mostra la diffusione del cohousing nel mondo descrivendo vari esempi di cohousing realizzati.

Ogni cohousing ha infatti la sua storia e le sue caratteristiche, a seconda del luogo in cui sorge, della città e del singolo gruppo. Ad oggi si trovano oltre 600 comunità di cohouses in Danimarca, più di 100 negli Stati Uniti e altre centinaia nel resto dell’Europa, Regno Unito, Olanda, Svezia e Germania. Sono esposti anche gli esempi italiani. Infine sono menzionate le associazioni che sono attive nel mondo ed in Italia per la diffusione del cohousing , il supporto nella creazione e gestione dei cohousing. Per Roma citiamo L’associazione Ecoabitare, L’associazione la casa sull’albero e la rete di coordinamento per il cohousing.

Il terzo capitolo parte dall’analisi delle criticità dell’area metropolitana di Roma e suggerisce il cohousing come possibile risposta a questi

Viene analizzata l’area metropolitana di Roma dal punto di vista, socio-culturale, ambientale ed urbanistico. Problemi come l’emergenza abitativa, l’invivibilità della città, la sensazione di vulnerabilità, l’isolamento delle persone anziane, la disgregazione della famiglia, la difficoltà delle donne e l’allargamento della fascia di povertà sono problemi esistenti a cui il cohousing può dare una risposta.

Viene preso in considerazione il nuovo PRG, ma anche il nuovo piano casa della Regione Lazio, il DPFR 09-11 del comune di Roma, tutti indicano la necessità di un cambiamento nella gestione del territorio: dalla ricompattazione dei tessuti esistenti all’abbassamento del consumo di suolo e di risorse, fino all’allargamento della partecipazione cittadina sulle scelte urbane. Anche in questo caso il cohousing è uno strumento ottimale per raggiungere molti degli obbiettivi fissati dalle pubbliche amministrazioni.

Attraverso la promozione di progetti di cohousing, e rendendo operative realtà già esistenti, il Comune di Roma potrebbe finalmente affrontare i problemi legati all’emergenza abitativa, alla ricompattazione del tessuto edilizio, alla solitudine delle famiglie utilizzando metodologie di lavoro partecipative e dal basso per la progettazione degli spazi e dei servizi e sfruttando la volontà delle persone di migliorare il posto in cui vivono.

Tuttavia manca una specifica e chiara normativa di riferimento: ci troviamo di fatto in territorio inesplorato in quanto le poche realtà esistenti sono a carattere privato o, al massimo, finanziate da enti religiosi o umanitari. Nasce l’esigenza di ipotizzare un suo riconoscimento che vada a suggerire gli strumenti idonei a favorire l’ingresso in Italia di questa realtà, visto il suo enorme valore sociale e l’impatto favorevole che avrebbe, in particolare nelle aree metropolitane.

Nel quarto capitolo vengono quindi proposti degli strumenti al comune per utilizzare il cohousing nelle sue scelte abitative e sociali.
Compresa la necessità di partire dal gruppo di cohousing, ovvero dall’unione delle persone che decidono di unirsi, viene descritta la formazione ed organizzazione dei gruppi e la necessità prima di tutto di un loro riconoscimento che ne attesti sia la compattezza che la consistenza, ma anche che ne descriva le peculiarità e gli obbiettivi che si vogliono raggiungere al proprio interno: tale certificazione porterebbe ad una più rapida ed efficace assegnazione coerente fra le aree,i contesti urbani ed i gruppi che ne fanno richiesta

Vengono quindi individuate le formule giuridiche per il loro riconoscimento che saranno in una prima fase quella delle Associazioni e in seguito quella delle cooperative.

In questo modo è possibile accedere al passo successivo, cioè la normativa in materia di edilizia residenziale: Viene perciò analizzata la normativa nazionale e regionale sia sui temi dell’ Edilizia Residenziale Pubblica, che sull’ housing sociale, passando anche per l’autocostruzione e l’auto recupero. Per ognuna di queste modalità di attuazione vengono studiati gli aspetti che ben si possono coniugare con la realizzazione di un cohousing e vengono messi in luce anche i limiti di tali normative, al fine di individuare le strategie migliori per introdurre questo nuovo concetto nella pratica comune.

Anche a livello economico sono indicati i sistemi di finanziamento utilizzabili per la realizzazione di un progetto di cohousing, come il Project Financing (in Italia non viene ancora sfruttato appieno nelle sue potenzialità), i Fondi di garanzia e/o di Rotazione.

Infine viene analizzato approfonditamente il processo partecipativo, uno dei principi fondamentali del cohousing, indicato dallo stesso PRG come metodo di progettazione della città. Uno degli obiettivi della Carta di Qualità del PRG è infatti quello di capire la richiesta di qualità della cittadinanza e di valorizzare le capacità progettuali e operative diffuse al fine di aumentare la qualità e la condivisione degli interventi urbani, oltre che permettere una maggiore realizzabilità attraverso il coinvolgimento di quante più risorse umane possibili. Inoltre è necessario che le trasformazioni urbane siano legate indiscutibilmente all’impatto che queste producono nell’ambito sociale in cui insisteranno.

Infine viene proposto un esempio di progettazione e realizzazione di un cohousing
Il primo passo è quello di individuare un area da destinare alla realizzazione della struttura. La ricerca si è ristretta ad una zona interna al GRA per non seguire la logica dell’espansione della città, e al contrario immaginare il cohousing come inserito all’interno della città: è molto importante agire nell’esistente, migliorando le condizioni dei quartieri degradati a livello sociale ed architettonico e ricompattando i tessuti lacerati della maglia urbanistica. Il cohousing quindi rappresenterebbe un elemento migliorativo e riqualificante delle aree esistenti, ma degradate.

Tra i municipi è stato scelto il terzo perché ha già manifestato interesse verso questa forma abitativa ed al suo interno è stato scelta un area tra quelle denominate “ambiti di valorizzazione”, che sono zone che nel tempo non hanno raggiunto o hanno smarrito i caratteri di identità […] o sono caratterizzati dalla presenza di edifici e manufatti non più utilizzati e riconvertibili a nuovi usi o che presentano fenomeni evidenti di degrado fisico e funzionale.

L’ambito scelto è il B7, che si trova nel quartiere di San Lorenzo. ed è inserito in un progetto più ampio

E’ stata fatta un’analisi approfondita sull’area, partendo dallo studio del quartiere e del tessuto sociale in cui la comunità di cohousing si inserirebbe.

Si è quindi passato al rilevamento dell’area dal punto di vista fisico, morfologico, architettonico ed urbanistico, analizzando anche le proprietà e le cubature esistenti.

Vengono prese in considerazione le indicazioni che il PRG dà riguardo alla ristrutturazione dell’area, per la formulazione di un progetto di massima che comprenda anche il cohousing.

Nell’analisi e progettazione è stato studiato anche “Progetto Urbano San Lorenzo – Circonvallazione Interna – Vallo ferroviario” che il Comune di Roma sta proponendo come intervento di riassetto importante per la zona est della città. Il progetto rappresenta un’occasione importante per la riqualificazione di un ampia area (che comprende il territorio di vari Municipi (il primo, il terzo, il quinto, il sesto ed il nono) perché vuole utilizzare il metodo della partecipazione cittadina alle scelte progettuali: una logica che ben si sposa con il cohousing.

Viene quindi illustrata la metodologia da utilizzare per progettare in partecipazione con un gruppo ipotetico ed il risultato che ne deriva.

Infine si descrivono i passaggi procedurali per intervenire sull’area, come previsti da normativa vigente.

STUDIO SUL COHOUSING NELL’AREA METROPOLITANA DI ROMA

A cura di:

Associazione Culturale M.I.D.A. (Moduli Interattivi di Didattica Ambientale)

Responsabile redazione progetto:

Nicoletta Salvi, Architetta

Coordinazione e gestione:

Anna Maria Grifa, Architetto

Con la consulenza di:

Anna Scriminaci, Architetto

E-co-abitare, Associazione Culturale

Sara Seghizzi, Sociologa

Federica Ferraris, Antropologa

Luca Tavolante, Dottore in Economia

Giovanni Guercio, Dottore in Economia

Maria Ragosta, Architetto

Con il patrocinio di:

Comune di Roma, Presidenza del Consiglio Comunale

PREMESSA
Cosa è il cohousing? “… è una particolare forma di vicinato, dove coppie e singoli, ognuno nel proprio appartamento, decidono di condividere alcuni spazi e servizi comuni come il mangiare, la gestione dei bambini, la cura del verde, ecc. Insomma qualche cosa di più rispetto al tradizionale condominio, dove ognuno è trincerato all’interno del proprio appartamento, ma qualche cosa di meno di una comune, dove a legare tutti i membri è anche la condivisione dell’economia” (da “Cohousing e condomini solidali” a cura di Matthieu Lietaert).

E’ uno di quei concetti nuovi, ma relativamente vecchi, nato negli anni ’60 e sconosciuto qui in Italia praticamente fino ad oggi (a parte rarissime eccezioni). Come le energie “alternative”, quell’energia solare che viene utilizzata nel mondo da almeno 40 anni, ma il cui uso solo oggi, grazie ad una volontà politica trainata dall’Europa, si sta veramente diffondendo sul territorio italiano.

Anche in questo caso è in Nord Europa, in Canada, negli Stati Uniti che il cohousing si sta applicando da cinquant’anni come nuovo modello abitativo.

Il sistema abitativo nelle città, ed in particolare nelle grandi metropoli, sta lentamente fallendo, non riuscendo a tenere il passo con le profonde trasformazioni in atto nella struttura e nel concetto stesso di città, di famiglia, di socialità, di vivere quotidiano: è ormai palese il fatto che è sempre più difficile abitare in una città metropolitana come Roma, dove la vita è sempre più stressante e si creano e si rafforzano ogni giorno di più insicurezze e difficoltà negli individui. Fenomeni come l’aumento del traffico e quindi del rumore e dell’inquinamento atmosferico, l’aumento incontrollato del numero dei veicoli privati su strada, l’aumento della produzione dei rifiuti e la resistenza nella mentalità della gente alla raccolta differenziata rendono la città un posto dove molte persone scelgono di non far crescere la propria prole. Anche a piccola scala l’impronta ecologica degli individui che seguono i consueti modelli di vita e di consumo è diventata insostenibile dal territorio.

A livello sociale vi è l’enorme problema della disgregazione sociale: la solitudine delle persone anziane, l’isolamento delle famiglie, la mancanza di modelli per le persone più giovani. Questo fenomeno, un tempo arginato dalla presenza di forti legami (familiari, di piccole comunità, di adesione ad attività religiose), è causa di fortissimi disagi per ampie fasce di popolazione, da quella delle persone immigrate a quella costituita da giovani genitori (coppie o famiglie monoparentali, il problema è il medesimo) lontani dalla famiglia di origine (e per essere lontani basta vivere ai due capi della città). La mancanza di reti sociali, causata da una pluralità di fattori come l’estendersi dei confini della città, l’aumento dei tempi di spostamento, la flessibilità degli orari di lavoro, l’incomunicabilità delle persone accentuata dalla mancanza di sicurezza, la carenza di spazi di aggregazione, la forma stessa delle nostre case e quartieri, supportano tragicamente l’estinzione di pratiche salutari come l’aiuto reciproco, l’interesse per il proprio quartiere, il senso civico e comunitario. Vi è inoltre il riconoscimento ed il proliferarsi di modelli familiari alternativi: coppie di fatto, single, famiglie monoparentali, persone anziane sole. Questa complessità non sempre riceve delle risposte adeguate dalla città non solo a livello abitativo, ma soprattutto a livello sociale e di servizi. Il problema abitativo è poi una questione spinosissima a livello nazionale. A cominciare dal piano casa per poi passare alle case popolari, fino ad arrivare all’housing sociale, l’edilizia residenziale pubblica, l’emergenza abitativa, il mutuo sociale, gli affitti calmierati, le occupazioni, gli sfratti sono tutti aspetti dello stesso problema: la necessità di una casa per tutte le persone. Occorre porre in evidenza il fatto che senza la dovuta attenzione ai fenomeni sociali garantire un alloggio non è mai stato una soluzione sufficiente: è ormai assodato che la creazione di quartieri popolari (uno per tutti: Corviale) in cui mancano le condizioni per la creazione di una coesione sociale, di una consapevolezza comunitaria, di un sistema di servizi basilari, ha prodotto e continua a produrre molta instabilità e di fatto si è rivelata una soluzione fallimentare del problema. Si consideri infine che il precariato e la crisi economica mondiale stanno portando ad un innalzamento della soglia di povertà per cui si è creata una sostanziosa fascia di persone e di famiglie a rischio, che fatica a pagare un affitto o un mutuo, ad accedere a prestiti o anche semplicemente a far quadrare il bilancio mensile famigliare. Queste persone potrebbero cadere da un momento all’altro nella categoria delle nuove persone povere con conseguenti costi economici e sociali per il paese, se non supportate da interventi efficaci dell’Amministrazione e della politica. Interventi che non debbono essere di carattere assistenzialistico, ma che dovrebbero dare delle soluzioni a lungo termine.

Il cohousing risponde a tutte queste problematiche in modo nuovo, in maniera attiva e partecipata, coinvolgendo e responsabilizzando le persone nel miglioramento della qualità della propria vita e di quella del proprio intorno. Sono le persone che, animate da questa spinta al miglioramento, creano dei gruppi che condividono il quotidiano, riscoprono le enormi potenzialità del vivere insieme, aumentano la coscienza della tolleranza, della risoluzione dei conflitti, stimolano l’ aiuto reciproco.

Ma torniamo alla domanda iniziale: cos’è il cohousing?

Il cohousing è una comunità residenziale a servizi condivisi.

Questa definizione ben descrive le caratteristiche principali del cohousing e cioè di essere una COMUNITA’ di persone, di avere carattere RESIDENZIALE, di creare dei SERVIZI per gli abitanti (e non solo) ed infine di CONDIVIDERE tali servizi e spazi comuni.

1- La COMUNITÀ è tale perché formata da persone riunitesi spontaneamente, con lo scopo di ottimizzare la capacità organizzativa della famiglia e di ritrovare una socialità. Generalmente la comunità e di tipo trasversale, cioè raggruppa gente di diverse età e fasce sociali, accomunate dalla stessa ideologia, dalle stesse necessità o problemi, dallo stesso stile di vita. La forza del gruppo è quella di avere la capacità di stare insieme, darsi delle regole e coniugare il privato con il collettivo, senza contare che è anche l’esperienza stessa del cohousing ad aiutare le persone ad acquisire una maggiore maturità alla convivenza civile e ad approfondire il proprio spessore relazionale. Per le/i bambine/i in particolare, la possibilità di disporre di scambi con coetanei rappresenta un elemento prezioso di socialità se si pensa che ormai difficilmente le/i bambine/i riescono a frequentare compagne/i di gioco al di fuori degli ambienti scolastici o di attività strutturate. Un discorso simile può essere fatto per le persone anziane.

2- La coabitazione consiste in un insediamento o edificio RESIDENZIALE di 10-20 o anche 100 abitazioni di diversa metratura e di alcune aree considerate spazi comuni e che sono destinati, appunto, ad attività comuni. Le abitazioni private soddisfano i bisogni primari della persona o della famiglia: mangiare, lavarsi, dormire, studiare, avere la propria intimità. Le seconde rispondono ai bisogni secondari di organizzazione della vita quotidiana (lavanderia, magazzino, orto, biblioteca, stanze per gli ospiti, etc) nonché ai bisogni di socialità: (sala per bambine/i, salone comune, giardino, ……).

3- I SERVIZI che si creano all’interno, attraverso strategie di consenso e di partecipazione, sono legati alle necessità della comunità che lo abita, per cui in un cohousing con molte famiglie giovani sarà forse presente un micro nido, in un altro con presenza di persone anziane vi saranno delle attività o assistenza per anziani, ovvero un gruppo di acquisto, un car-sharing, un’organizzazione di turni per le pulizie o per gli spostamenti …. I servizi possono poi costituire anche un valore aggiunto per il territorio in cui il cohousing si trova, in quanto possono essere aperti alle/gli abitanti del quartiere, o addirittura organizzati secondo le necessità del quartiere in un’ottica di partecipazione allargata. Possono quindi trovare spazio nidi familiari comunali, centri per anziani, spazi di aggregazione per adolescenti, orti sociali, punti di informazione sulla sostenibilità, sostegno alla genitorialità…

4- La condivisione degli spazi comuni e dei sevizi, nonché delle decisioni, è il motore del cohousing. Dalla condivisione di beni (che a volte sarebbero irraggiungibili per il singolo) deriva un elevato risparmio economico, dalla condivisione di servizi si ottiene un risparmio di tempo e di stress, dalla condivisione di decisioni (partecipazione nelle scelte, il metodo del consenso, la gestione dei conflitti) si crea una coscienza collettiva e sociale che oggigiorno va ahimè scomparendo.

Il valore del cohousing sta nella creazione di una RETE SOCIALE al suo interno che permette di affrontare più agevolmente le complessità della vita moderna e metropolitana. La rete sociale infatti, se ben organizzata, permette di venire incontro a quelle necessità che normalmente non trovano soddisfazione, come l’esigenza di dimensioni più umane di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato, il contenimento dello stress, la riduzione dei costi di gestione delle attività quotidiane, il bisogno di sicurezza al di fuori delle mura domestiche. Il valore aggiunto è che questa rete sociale si può allargare anche all’esterno del cohousing ed investire il quartiere in cui esso è presente. Inoltre dalle esperienze dei cittadini che sperimentano e costruiscono in prima persona le buone pratiche, può partire un circolo virtuoso che modifica gli assetti sociali e le strutture fisiche del territorio.

Un’altra parola chiave del cohousing è SVILUPPO SOSTENIBILE. Il cohousing infatti si presenta come strategia di sviluppo sostenibile in grado di dare benefici sul piano sociale ed ambientale: se da un lato la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevola la socializzazione e la cooperazione tra gli individui, dall’altro questa pratica, unitamente ad altri “approcci” quali la costituzione di gruppi d’acquisto interni, favoriscono il risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale di queste comunità.

La realizzazione di nuclei di questo tipo nel corpo della città, pensati come progetti pilota, potrebbe innescare una trasformazione a rete del concetto stesso di abitare e di città.

Questo studio si propone quindi di introdurre e delineare il concetto di cohousing, di analizzarne la fattibilità nell’area metropolitana di Roma e di proporre un progetto pilota in un quartiere della città.

Share your love

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *