Che cos’è l’autorecupero immobiliare? 

L’autorecupero immobilare è una possibile risposta all’emergenza abitativa che prevede che i Comuni individuino degli immobili inutilizzati  e attraverso dei bandi li assegnino a cooperative formate da persone che non hanno la possibilità di accedere al normale mercato delle abitazioni, che le  “recuperano”  provvedendo ai lavori necessari,  in prima persona o attraverso imprese edili, accedendo a un mutuo per  coprire le spese dei materiali e dei lavori, le cui rate vengono poi scalate dagli affitti degli appartamenti.

Una possibile “rigenerazione urbana” “dal basso”, sganciata dalla logica del profitto degli imprenditori privati, che può permettere  a tante persone di avere una casa, che, nel caso dei Comuni del Lazio, e quindi di Roma,  rimane comunque di proprietà pubblica.

Ma come funziona e perché viene così poco utilizzato l’autorecupero, mentre dilaga l’”housing sociale”, che spesso si risolve nel regalare cubature ai privati e consumare nuovo suolo?

Cominciamo dalla definizione contenuta nella legge istitutiva della Regione Lazio n.55 del 11 dicembre 1998Gli enti pubblici … individuano immobili, destinati a finalità diverse da quelle di edilizia residenziale pubblica, di loro proprietà o di proprietà di altri enti pubblici o di privati da acquisire, rimasti inutilizzati e/o in evidente stato di degrado, al fine di recuperarli in concorso con cooperative di autorecupero e/o autocostruzione[1].

Il meccanismo prevede l’individuazione di immobili abbandonati, sia pubblici che privati,  in quest’ultimo caso da acquisire in comodato gratuito per un massimo di 18 anni,  al termine del quale l’immobile recuperato torna nella disponibilità del proprietario.

Gli immobili sono messi a bando per essere affidati a Cooperative. I lavori sulle parti strutturali sono di competenza pubblica mentre i lavori interni sono di competenza delle cooperative, e i relativi costi sono scomputati dal canone mensile dell’affitto. I fabbricati restano di proprietà pubblica,  mentre quelli privati, una volta recuperati i costi di ristrutturazione, o al massimo dopo 18 anni, tornano ai legittimi proprietari.

Nel caso di Roma, prima con la Delibera di Consiglio Comunale (DCC) 234/1997[2], poi con la successiva DCC 189/2000 [3], si erano individuati  rispettivamente  2  e 7 immobili,  per la maggior parte poi completati e abitati.

Purtroppo però, per alcuni  interventi non portati a termine,  si è aperta una stagione di sempre maggiore difficoltà, a causa di una serie di cavilli e intoppi burocratici che fanno pensare che l’argomento di risolvere l’emergenza abitativa con il concorso degli stessi abitanti sia scomparso dagli schermi radar degli uffici.

Seppure trascurato dall’attenzione degli uffici,  l’autorecupero evidentemente affascina la politica,  dato che di tanto in tanto lo si vede  riemergere nelle mozioni e ordini del giorno quando in Campidoglio si tratta di emergenza abitativa,  come nel caso dell’ O.d.G. dell’ Assemblea Capitolina n. 14 del 20/02/2020 [4]… prevedendo l’attivazione di un programma di edilizia residenziale pubblica, per aumentare l’offerta di alloggi a canone sociale, per l’attuazione di un piano strutturale abitativo che doti Roma di un numero adeguato di alloggi a canone sociale da reperire anche attraverso forme di recupero e autorecupero, a partire dall’immenso patrimonio pubblico e privato inutilizzato, prevedendo laddove i privati non perseguano il recupero e il riutilizzo dell’immobile lasciato in degrado anche forme di acquisizione per pubblica utilità volte a contrastare il degrado”.

Buone intenzioni che rimangono tali, visto che, oltre a non promuovere nuove iniziative di autorecupero nei tanti immobili inutilizzati di proprietà comunale, ci sono cooperative che aspettano il lieto fine da anni.  In certi casi aspettano addirittura di  poter entrare nell’immobile, in altri di avere completate le ristrutturazioni di competenza  di Roma Capitale, spesso  già eseguite ma che il Comune ha dovuto – o ancora deve – rifare un’altra volta.

 

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