di Alessandro Di Egidio, Facoltà di Architettura – Università degli studi di Roma “La Sapienza”
Tesi in progettazione architettonica: Modelli di cohousing urbano_Riqualificazione di un edificio a Lisbona
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La storia dell’affermazione del cohousing si compone di momenti e luoghi differenti: la tenacia con cui certe popolazioni hanno sostenuto l’iniziativa e le forti motivazioni che le spingevano a farlo hanno generato oggi la divisione dell’universo dell’abitare collaborativo in paesi dove questo è un’istituzione ed altri dove, se se ne conosce l’esistenza, è percepito come un’esperienza isolata e bizzarra.
Non è un caso che McCamant e Durrett lo nominarono dopo un viaggio in Nord Europa; rispetto ai paesi mediterranei, le nazioni del nord del continente erano molto più investite dalla crisi del welfare e dal fenomeno della dissoluzione
della famiglia tradizionale, tipici processi della società post-industriale che vi erano emersi prematuramente. Nei paesi del sud ed in quelli del nord la rivoluzione culturale degli anni ‘70 incide in modi differenti: sebbene porti una ventata di libertà ed emancipazione rispetto alle costrizioni formali del primo dopoguerra, in Italia, Spagna e Portogallo le mutazioni sociali danno vita ad esperimenti la cui vitalità andrà scemando con lo ristabilirsi di un nuovo ordine nel sistema. Se in Portogallo, per esempio, il progetto SAAL durerà solamente i due anni successivi alla rivoluzione del ‘74, in Olanda o in Germania il movimento degli squatters resisterà fino ad obbligare i governi a normalizzare gli esisti delle contestazioni che si erano intraprese.
Così nei Paesi Bassi oggi il cohousing si prospetta come un’opportunità a grande scala per una riforma dell’abitare, mentre in Portogallo le esperienze di abitare collaborativo si limitano a 150 alloggi nell’ambito di comunità rurali. Sorvolando sulle ragioni sociali, morali o economiche che hanno portato a questa divergenza, si deve prendere atto della diversa velocità che caratterizza settentrione e meridione del continente, almeno per quando riguarda l’universo del cohousing. In Olanda, Svizzera, Germania, Danimarca e Paesi Scandinavi, l’abitare collettivo ha assunto un carattere istituzionalizzante ed ha permesso alle associazioni che lo sponsorizzavano di nuove edificazioni a Zurigo dal 2011 al 2014 sono stati dei cohousing, In Italia invece, nonostante il sorgere di alcune associazioni stia permettendone un minimo sviluppo nei dintorni di Milano e Torino, le forme di insediamenti di questo tipo si trovano soprattutto nelle campagne, risultato di iniziative private di individui con l’intento di dedicarsi ad una vita scostata rispetto ai ritmi imposti dalla società. Manca così nei paesi del sud quel modello che sia ripetibile alla scala urbana e possa inserirsi in un ambito di quotidianeità del vissuto.
Va comunque considerata, oltre alla dimensione dell’istituzione e a quella della singola cooperativa di abitanti, l’emergenza delle associazioni indipendenti che promuovono il cohousing. Queste possono avere natura diversa dal punto di vista degli scopi e delle modalità di amministrazione, ma riescono comunque ad influire sulla diffusione culturale del fenomeno, sia indirettamente con campagne informative, sia direttamente con costruzioni o ristrutturazioni sul territorio, che costituiscono poi anche un esempio tangibile con cui confrontarsi. In Francia le società HLM (habitations à loyer moderé, abitazioni a canone calmierato), responsabili a volte di situazioni
di vivibilità traumatica nelle periferie con la ripetizione insensibili di barre e torri dormitorio, si stanno interessando sempre di più al fenomeno del cohousing come modello a cui convertirsi negli interventi futuri, nei Paesi
Baschi l’associazione Sostre Civic sta realizzando e recuperando con le stesse modalità vari condomini, in Italia HousingLab e NewCoh stanno organizzando un database delle esperienze in modo tale da metterle in contatto tra loro
e farle conoscere attraverso pubblicazioni ed eventi all’opinione pubblica. Doveroso è menzionare anche l’attività che sviluppano le associazioni che si riuniscono sotto la denominazione di Community Land Trust che, seppur non
operando esclusivamente nel dominio dell’abitare collaborativo, permettono spesso agli abitanti di ottenere grazie alla cooperazione un alloggio dignitoso con dei servizi assicurati dalla comunità.